LE FORME DEL BELLO - Remo Bodei

Sintesi del saggio Le forme del bello, un libro di Remo Bodei - ed. il Mulino

introduzione


I concetti di bello e di brutto non possono essere ridotti ad un mero ambito di soggettività. Allo stesso tempo c'è la consapevolezza che il loro significato non è unico e monolitico nel corso del tempo anzi, è un insieme di stratificazioni avvenute nel corso degli anni.

In breve, i sette principali modelli di bellezza:

a. Bello inteso come armonia, ordine, proporzione, simmetria. E' un bello oggettivo che si presta a costituire la trinità del bello, vero, buono.

b. Bello imponderabile. Esso si esprime con la vaghezza, il "non so che" (esatto opposto del bello in "a.")

c. Bello finalizzato, funzionale, atto allo scopo.

d. Bello inteso come semplicità. Ad esempio, la bellezza di un colore puro nella sua fisicità, o quella di un suono.

e. Bello inteso come luminosità, folgorazione, un improvviso emergere dall'oscurità.

f. Bellezza collegata all'eros. Sia a livello sensibile/sensuale, che a livello spirituale (delirio divino). È quest'ultimo, oltre il sensibile, il bello che appartiene alla sola sfera dell'intellegibile.

g. La bellezza del «brutto» in quanto autentico. Siamo qui di fronte ad un completo rovesciamento dei ruoli che si verifica dalla seconda metà del 1800.


capitolo 1
Misura e ordine


Nella Grecia arcaica la bellezza viene intesa come ordine che emerge dal caos.

Pitagora, attraverso i numeri, individua il rapporto 3 : 4 : 5 (in musica questo rapporto tra la lunghezza di corde acustiche forma le note do - mi - la, un accordo di LAm). Il suono che ne risulta è  un'armonia e la conseguenza più importante è che ad una bellezza armonica(sensibile) ne corrisponde una intellegibile, quella cioè dei numeri nel loro rapporto.
Pitagora, inoltre, iscrive ogni forma di bellezza in un contesto globale che chiamerà kosmos.

Questo kosmos obbedisce a leggi che possono essere individuate attraverso i numeri.

Armonia, simmetria e euritmia (armonia sensibile), per i pitagorici danno commensurabilità alle parti.
Attraverso il suo teorema, elevando al quadrato i lati di un triangolo rettangolo ne trova il loro rapporto e la loro commensurabilità. «La razionalità che scaturisce dalla moltiplicazione dell'irrazionale per se stesso».
In questo modo si forma il legame bello-vero-buono destinato a diventare la culla del razionalismo occidentale.

L'ordine cosmico rimarrà un modello di bellezza in tutto l'occidente attraverso i secoli, senza subire troppe variazioni.

nota_
- Per S. Agostino nel medioevo misura, ordine e armonia sono opera divina. Là dove non capiamo, ci vuole fede.
- Nel 1509 Luca Pacioli scriverà il de divina proporzione.

Periodo barocco a parte, dove avviene un rifiuto della bellezza intesa come armonia e ordine, con Newton si riprende in considerazione la trinità del bello-vero-buono anche se i concetti, pur conservando una parentela tra loro, si differenziano nel seguente modo:
La verità apparterrà alla scienza, la bellezza all'arte.

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Attacchi all'esplicita simmetria/bellezza/ordine cosmico di Pitagora.

- Eraclito già nel 500 a.c. dice che l'armonia è più forte quando è nascosta sotto la superficie.
- In oriente ed in estremo oriente la simmetria appartiene solo a dio.
- Nel barocco c'è un rifiuto dell'ordine apparente, considerato troppo banale.

Con Platone assistiamo alla separazione del bello dal vero/buono.
Vero e buono appartengono alla parte razionale dell'anima, il bello a quella irrazionale.

Platone riconosce all'arte - soprattuto alla musica e alla poesia - il potere di affascinare la nostra parte irrazionale e passionale dell'anima. Per questo invita a diffidare di essa, in quanto ci allontanerebbe dalla verità. Egli però condanna e rinnega solo la bellezza e l'arte illusoria, sarebbe scorretto etichettarlo come un nemico dell'arte.

capitolo 2
Tutti i volti del bello


Vista e udito sono stati considerati i sensi principali a trasmettere l'esperienza del bello perché sono i più commensurabili e quindi quelli meglio traducibili dall'intelletto. Di conseguenza sono anche i più oggettivi.

Vista e udito nella cultura greca rimangono i sensi principali; nella cultura ebraica, invece, dove c'è il divieto di creare immagini, sono gli odori ad acquisire importanza.

L'olfatto diventa importante in occidente dopo la metà del '700. Attraverso la parola e le immagini si cerca di trasmettere i sensi dell'olfatto, del tatto e del gusto. Con l'evolvere della tecnologia cambiano le forme e gli stili artistici, nonché le loro potenzialità espressive.

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Il vago

La bellezza del vago, ad esempio nelle opere di Turner, si oppone alla bellezza del definito, appartenente alla classica Grecia. Vi è nel vago una volontà di crittografare le opere, di non voler aderire a canoni prefissati, in altre parole un accresciuto ruolo della creatività.

Sebbene già nel 1300 Petrarca introduce nella bellezza l'attributo del non so ché, è nel romanticismo che il vago e lo sfumato diventano poetici per eccellenza.

Leopardi con l'infinito mostra la potenza dell'immaginazione - capace di emozionarci più di quello che farebbero i nostri sensi percettivi - quando ci spinge ad andare oltre quella siepe. È la privazione sensoriale a stimolare la capacità penetrante dell'immaginazione. La forza di Leopardi sta anche nel creare una tensione tra il definito della siepe e il vago dell'infinito oltre la siepe.

La vaghezza porta a considerare belli gli schizzi non finiti (E. Burke) e l'idea che l'imperfezione sia meglio del perfettamente definito.

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Bellezza funzionale

Bello e utile possono coincidere.
Già Socrate, descritto da Senofonte, diceva che uno scudo d'oro è così pesante e inutile che è meno bello di una pattumiera.

La spada può avere un'elsa tempestata di diamanti ma la lama deve essere affilata e tagliente.

Nonostante il conflitto tra il bello funzionale e il carattere «disinteressato» del bello - caratteristica della riflessione moderna almeno da Kant - nella seconda metà del '700 la formazione della professione dell'architetto si collega istituzionalmente a quella dell'ingegnere.

Nel Bauhaus troviamo un accento sulla funzionalità ed una negazione dell'ornamento. Il "Dio" di Newton crea in economia, con la minima spesa. Bello è ciò che viene spogliato del superfluo. Per Marinetti il cofano di una vettura da corsa è più bello della Nike di Samotracia.

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Complessità e semplicità del bello

L'evolversi del concetto di bello da immediata e banale simmetria porta a due sbocchi: da un lato, complessizzare la forma per rendere l'armonia sottostante meno decifrabile; dall'altro semplificare  (Plotino).

Complessità
Un esempio di ricerca nella complessità è dato da Keplero, il quale scopre che le orbite dei pianeti non sono dei semplici cerchi ma li individua prima come ovali e poi come ellissi. Baltasar Gracián nel 1648 con il suo L'acutezza e l'arte dell'ingegno sottolinea l'importanza del «concetto» inteso come l'equivalente intellegibile della bellezza. Per Gracián la bellezza non banale può essere intesa solo da chi è colto e dotato di buon gusto.

Semplicità
Per Plotino (ca 200 d.c.), se il risultato è bello, i singoli elementi che lo compongono devono essere anch'essi belli.
Per Winckelmann (prima metà del '700) la bellezza è come l'acqua della fonte: quanto più è in sapore, tanto più è pura.
Alla luce di queste considerazioni acquistano quindi valore la bellezza di un singolo suono, la purezza di un colore nella sua essenza.

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Bellezza come luce

In questo caso la bellezza viene intesa come un emergere delle forme dalle tenebre. Per Platone la bellezza è «risplendente a vedersi» (Fedro, 250 b.c.).

Hegel nell'estetica scrive della luce all'interno delle cattedrali gotiche, che filtra dalle vetrate colorate. Esse modificano la luce naturale e, assieme ai ceri, creano una luce spirituale. In epoca moderna, la presenza di fonti diverse di luce artificiale e fredda ha desacralizzato, despiritualizzato o quantomeno attenuato questo effetto.

Heidegger, ne l'origine dell'opera d'arte, parte dal concetto di Schönheit, intendendolo come chiaroscuro, come la luce che filtra da un bosco, rivelandone alcune zone. L'opera d'arte è per Heidegger un'apertura, uno svelamento. Egli dirà anche che «l'arte è il porsi in opera della verità» intendendo con essa, la verità dell'ente.


capitolo 3
Bellezza spirituale


Il prevalere della scrittura sull'oralità in antica Grecia rompe l'equilibrio tra bello intellegibile e sensibile. La bellezza intellegibile decolla e assume più importanza mentre a quella sensibile rimane il compito di alludere alla prima.

Platone
Per Platone la bellezza ideale va oltre quella sensibile. Divinatoria, mistica, poesia ed erotica sono le quattro forme di delirio divino. Il poeta quando si esprime è un messaggero attraverso il quale l'uomo comune può elevarsi. Per Platone poesia e musica sembrano le due forme d'arte più adatte ad elevarsi. Quando il poeta è trascinato dall'entusiasmo, egli parla secondo l'ispirazione divina.

La scrittura - composta da simboli fonetici, segni astratti con poco pathos e tanto senso di razionalità - innalza la bellezza intellegibile nei confronti di quella sensibile.

Nella Repubblica di Platone si legge che solo attraverso l'intelletto si può raggiungere la «realtà che realmente è, senza colore, senza figura tangibile».

Per Platone il bello è l'elevazione dell'anima che viene a contatto con il divino. Questa elevazione è facilitata dalla poesia e dalla musica, ma non dalla pittura e dalla scultura. Attenzione però: pittura e scultura vengono condannate solo quando assumono i connotati dell'artifizio e dell'illusione.

Plotino (circa 200,270 d.c.)
Il bello ci guida verso il bene, che è sempre presente, ma bisogna trovarlo illuminando l'essere. Ciò si compie con un cammino verso la casa del padre spogliandosi del superfluo, levigando gli spigoli come uno scultore fa con la pietra, togliendone la parte non necessaria (analogia con le affermazioni di Michelangelo).

Per Plotino il bello ci può guidare, ma ciò che veramente conta è il bene. Il bello va tenuto sotto controllo in quanto può ingannare.

Agostino (350-400 d.c.)
Il pensiero di Agostino ha delle similarità con quello di Plotino però con una differenza: per Agostino l'ultima destinazione è il congiungersi con l'assoluto, la patria celeste.
Agostino parla di una bellezza imponderabile, celestiale, che infiammerà gli animi di poeti come Dante.

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L'epilogo della bellezza spirituale nell'epoca moderna

Gli effetti della secolarizzazione portano a considerare che il bello rinvii solo a se stesso. Di conseguenza il sensibile riacquista un suo ruolo e spazio: sensibilità e fantasia permettono di andare oltre i binari del razionale. Ciò funge anche da consolazione alla presa di coscienza del destino di un'inevitabile scomparsa.

Nell'epoca della produzione di massa si fa strada il concetto di estetica diffusa: il bello si trova anche nel  design. Questo moltiplicarsi del bello da un lato porta al kitsch, dall'altro aumenta l'esperienza di bello per milioni di persone e ne affina il gusto. Viene inoltre accettato che la bellezza sia effimera.

Che la bellezza rimandi solo a se stessa è un concetto che appare chiaro se pensiamo alla musica: essa non dice che quanto dice o meglio: non dice niente ma ti trasporta in una realtà nel momento in cui si fa esperienza di essa.

Per Benedetto Croce il bello è espressione di un'intuizione.

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Dal bello al sublime

Pseudo Longino (Anonimo del sublime, 1 sec d.c. ma riprodotto nel 1600)
La bellezza sublime è l'eco della grandezza d'animo. Il sublime innalza l'uomo e lo fa sentire più grande  del mondo che lo circonda.
(da notare che egli considera bello e sublime ancora insieme)
ritradotto nel 1550/1600, il trattato di Pseudo Longino ci fa capire il perché del barocco, i suoi punti di vista soggettivi ravvicinati, la sua drammaticità e teatralità, la sua verticalità. (Per A. Hauser il barocco è anche una conseguenza della controriforma, con la sua arte di facile comprensione per il popolo, se paragonata a quella manierista destinata ad un pubblico colto e raffinato).

Nel contemporaneo il concetto di sublime va a recuperare il brutto, che si oppone alla «graziosità» e quindi alla banalità del bello.

Il sublime, grazie alle scoperte scientifiche del '600, corrisponde anche alla voglia di esplorare attraverso il progresso e compiere viaggi di avventura. La consapevolezza di essere fisicamente limitati ma con la voglia di misurarsi con la grandezza che ci circonda, ad esempio con i viaggi sulle Alpi, la discesa nei crateri dei vulcani.

Edmund Burke (Inchiesta sul bello ed il sublime - ca 1750)
Per Burke il sublime è tutto ciò che può destare terrore o senso di pericolo, purché ciò avvenga da una minima distanza di sicurezza. È l'inizio del terribile, che si può ancora sopportare.
Il sublime è l'inquieta grande anima della modernità.

Kant  (sublime = erhabene, elevato)
Per Kant il sublime è ciò che è degno di ammirazione e rispetto. Ciò che crea choc, una dimensione verticale dell'io che cerca l'assoluto. La bellezza viene quindi relegata a graziosità (es.: boschetti, ruscelli)
Il sublime è inoltre di due tipi: matematico (l'assoluto, l'infinito) e dinamico (grandi eventi della natura che mettono in luce le fragilità dell'uomo).

Il sublime ha un effetto perturbante che porterà all'estetica del brutto.


capitolo 4
La storia del brutto


Il concetto di brutto può essere visto, analizzato e schematizzato in sette epoche.

1. Calco negativo del bello
Nelle epoche in cui veniva accettata la trinità del bello-vero-buono, brutto corrispondeva all'esatto opposto. Per Platone esso è il calco in negativo del bello.
L'idea della bruttezza intesa come privazione d'essere si manifesta attraverso i millenni: da Platone a Croce (e per certi versi persino ad Heidegger)

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2. Il brutto nel cristianesimo
Il brutto viene accettato nel cristianesimo dove Cristo, flagellato e sofferente, viene raffigurato brutto per essere più vicino ai mortali. Ne sono un esempio alcuni crocifissi medievali.
Lo stesso Hegel dirà nell'estetica «non si può raffigurare nelle forme della bellezza greca Cristo flagellato, coronato di spine, trascinante la croce fino al luogo del supplizio, crocifisso agonizzante nei tormenti di una lunga e martoriata agonia» (p. 604).

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3. Il brutto come ingrediente del bello
Ad un certo punto il brutto viene accettato come una componente del bello, ma solo in poesia, dove è possibile, anzi desiderabile avere una parte di brutto da alternare al bello. In pittura, invece, poiché è inevitabile la compresenza di tutte le parti, il brutto non viene considerato.

Ne parlano Lessing nel suo Laocoonte del 1766 e Schlegel dirà che il godimento perfetto, privo di inquietudine, è ormai divenuto irraggiungibile.
Sempre Schlegel, e anche Hölderlin, considerano il caos e l'anarchia dei punti di partenza dai quali può originare l'ordine. La dialettica riconosce quindi la «positività del negativo».

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4. Metamorfosi del brutto
È nel periodo tardo romantico di Hugo e Baudelaire che avviene la metamorfosi completa per cui il brutto è bello, e viceversa.
L'arte sceglie come terreno privilegiato i luoghi del brutto e del disordine: deformità del corpo e dell'anima, bassifondi, le fogne della società, soprattutto la società metropolitana.
È questa l'epoca del Quasimodo di Notre-dame de Paris.

Tale concetto è odiernamente attuale, basti considerare Apollinaire: «oggi amiamo la bellezza quanto la bruttezza». In realtà già Aristotele riteneva che attraverso le arti ed una adeguata rappresentazione, pure i disegni delle bestie ed i cadaveri possono risultare non solo tollerabili, ma persino gradevoli.

John Constable dirà a una conoscente: «Non c'è niente che sia brutto, non ho mai visto una cosa brutta in vita mia: qualunque sia la forma di un oggetto, la luce l'ombra e la prospettiva lo faranno sempre bello».
Da qui ne segue che tutto è degno di attenzione estetica, ad esempio le scarpe di Van Gogh oppure i suoi volti di donne insignificanti/ordinarie.

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5. L'arcangelo del bello

La 5° epoca è quella dell'estetica del brutto di Karl Rosenkarnz (1853).

Rosenkranz ha le sue premesse in Hegel il quale dice:
- Il brutto si ricollega al dolore che il cristianesimo introduce in occidente.
- Nello spirito (del quale l'arte è manifestazione) vi è una tensione tra le tentazioni che provengono dal basso e il nostro desiderio di purezza che ci fa tendere in alto, alla ricerca dell'assoluto.
- Il bello, che è «manifestazione sensibile dell'idea» conserva in sé le tracce del negativo che ha dovuto di volta in volta superare.

Per Hegel le forme più elevate di rappresentazione artistica sono tragedia e commedia con le loro tensioni interne nelle quali il brutto ha un ruolo dialettico con il bello.

Per Rosenkranz un'opera d'arte è tanto più bella e riuscita quanto più sono grandi il caos e la disarmonia sui quali essa è riuscita a trionfare.
La bellezza, per diventare tale, deve rischiare di mettersi in gioco andando a scontrarsi con l'amorfo, l'asimmetrico, il disarmonico, lo scorretto, lo sfigurato, il ripudiante e il diabolico. Una gelida simmetria è semplicemente e banalmente perfetta quindi inaccettabile.

È il brutto che stimola il bello ad affermarsi.
Esempi di trionfo sul caos e il disordine sono alcune sonate di Beethoven e La grande Fuga op. 132.
- Per Rosenkranz il brutto è bellezza perversa.
- Il bello, non può emergere dal brutto, se chi guida la lotta è un artista dilettante e/o presuntuoso. Nemmeno se chi lotta è un iper-romantico al quale piace farsi sedurre dal brutto e abbandonarsi alla follia.
«L'arte non può lasciare alla follia l'ultima parola»

I grandi che hanno risolto magistralmente questa lotta tra caos e ordine sono: Dante, Michelangelo, Shakespeare, Mozart, Goethe.
«L'arte eccelsa trova il suo terreno più fertile in prossimità degli abissi»

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6. I mostri di Guernica

Con Adorno e la sua Teoria estetica, pubblicata postuma nel 1970, assistiamo ad un completo capovolgimento.
Il brutto si trasforma nel bello, in quanto reale ed autentico. mentre il bello è brutto, cioè falso, immorale, superficiale.
Adorno dice che il brutto è un dato di fatto. Racconta l'aneddoto su Picasso dove un ufficiale tedesco, quando gli chiese circa Guernica: «L'ha fatto Lei?» lui rispose: «No, Lei».

L'arte però non deve glorificare il brutto così come le si presenta. Essa deve continuamente inventare le forme adatte ad emanciparlo. Deve costantemente cercare di sprigionare la superiore bellezza in esso racchiusa.

Le guerre e soprattutto Auschwtiz hanno messo sotto gli occhi di tutti il brutto e la sofferenza. L'arte moderna è in lutto e non può esentarsi dal rappresentare la realtà di questa sofferenza in una catarsi per ora irrisolta

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7. Il brutto nel contemporaneo

Il contemporaneo, grazie alla tecnica, ha permesso il diffondersi dell'arte nella sua riproducibilità portandola a conoscenza di tutti.
Si forma così una élite colta che usa il gusto estetico per distinguersi dalla massa, una élite fatta di collezionisti, critici e galleristi che mantengono un grado di esclusività attraverso il decollo delle quotazioni nel mercato dell'arte.

Non mancano però le contaminazioni:
Artisti come Warhol e Lichtenstein hanno prelevato idee e concetti dalle forme d'arte popolare come il fumetto, la pubblicità per poi proporle all'élite oligarchica del mercato dell'arte.

In questa settima, ultima epoca del brutto qui analizzata si possono individuare tre possibili sbocchi:

- Sdrammatizzazione del brutto, del falso e del cattivo

- Rinnovata esigenza della spiritualità a causa delle nuove angosce del contemporaneo

- Un misto delle due precedenti ipotesi: un uso semi-secolarizzato del mito dell'arte. (un esempio è dato dalle edicole che sorgono ai bordi degli incroci stradali dove sono avvenuti incidenti mortali)

La società contemporanea sembra ormai diventata insofferente nei confronti dell'arte brutta. Il trasgredire alle regole non stupisce più e il pubblico sembra avere superato quella fase di cordoglio adorniano e si sente desideroso e pronto a tornare a gioire della esperienza estetica.

Per Remo Bodei la vera forma del brutto nel contemporaneo è quella dello squallore, dell'insignificante, il trionfo della banalità e della chiacchiera, lo stordimento mentale, l'inaridimento percettivo ed emotivo, il virtuosismo fine a se stesso.

Ciò non significa assolutamente che Bodei pensi ad un'ennesima «morte dell'arte» poiché il bello tiene sempre in serbo l'arma della sorpresa

La riflessione estetica non è quindi giunta ad un termine ma è un continuo divenire, un continuo varcare la soglia di fronte a singole opere d'arte.